La sofferenza non è un nemico della vita
La sofferenza è madre d’infelicità
Chi ama la sofferenza? Nessuno? Non proprio! La amano i santi. Quest’ultimi non sono folli o masochisti ma semplicemente illuminati. Sanno bene il grande dono della sofferenza.
Vorrei spiegare questo concetto perché se comprendiamo il suo valore possiamo nel momento opportuno sfruttare la sofferenza.
Soffriamo con frutto
Soffrire non vuol dire essere maledetti. Il dolore e la sofferenza non le manda Dio, ma è frutto del nostro peccato. Il peccato originale ci ha resi infermi, ci ha resi difettati ma ciò non vuol dire che dobbiamo soffrire senza ricavarne niente. Il soffrire se sofferto bene porta dei frutti, anche perchè se soffriamo male non è che il dolore va via, comunque soffriremo, tanto vale sfruttarlo!
Quali sono i frutti del patire? E come soffrire bene?
- I frutti sono tantissimi, e tutti meritevoli dinanzi a Dio. Se soffriamo bene sconteremo i nostri peccati. Soffrire su questa terra per riscattarci vuol dire andare direttamente in paradiso quando moriremo, senza passare per il purgatorio per purificarsi. Il frutto della sofferenza è così sublime che può salvare le anime che sono lontane da Dio. Liberare gli indemoniati, guarire copro e anima. La sofferenza attira tante grazie e miracoli.
- Bisogna però soffrire bene: in pratica dobbiamo innanzitutto accettare la sofferenza proprio come Gesù quando sapeva che doveva patire quella tremenda sorte; i dolori della croce! Gesù disse: non la mia ma sia fatta la tua volontà. Accettiamo le sofferenze dicendo: Padre, se puoi liberami ma se questo dolore serve per la mia salvezza o per qualche altro motivo che il Tuo Cuore ricco di Misericordia e di bontà ha progettato, allora sia così. Dammi solo la forza di saper soffrire e offrire tali sofferenze.
Padre Pio riteneva il dolore, una vera miniera, una vera ricchezza. Gesù ci ha salvato nel dolore e con il dolore. Noi siamo diventati figli di Maria, ai piedi della croce.
Il dolore purifica, il dolore santifica. Soffrire quindi aiuta ad elevarci a Dio. Questo non vuol dire che dobbiamo diventare masochisti, infliggerci dolori ecc ecc. I santi lo hanno fatto! Si flagellavano, si mortificavano facendo lunghe penitenze….ma questo non è da tutti e non tutti possono farlo.
Essere santi non vuol dire infatti fare lunghi digiuni o flagellarsi o mettersi un cilicio. No! Significa saper mortificare le proprie passioni, inclinazioni, difetti caratteriali. Uccidere il nostro egoismo, mortificare la nostra lingua che spesso uccide, spesso ferisce…. saper rinunciare a noi stessi per innalzare il prossimo, saperci sforzare a vincere la nostra umanità.
Ecco, ora sappiamo il nuovo volto della sofferenza. Facciamone tesoro, comportandoci in questo modo:
- Chiediamo a Dio di liberarci.
- Se ciò non avviene dopo aver pregato, chiediamo a Dio di saper accettare la sofferenza senza perdere i suoi frutti.
- Chiediamo dunque a Dio che ci dia la forza di saper soffrire.
- Infine, punto importante, offriamo la nostra sofferenza per una causa a noi cara: per un’anima del purgatorio, per la guarigione di qualcuno, per la conversione di un familiare ecc ecc ecc.
L’uomo vede la sofferenza come una punizione. I santi vedono la sofferenza come un dono.
Scopri di più da Annalisa Colzi
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