La dolce salita al Monte Krizevac
Il vento mi attraversa il volto, scuote i miei pensieri, accarezza le mie ferite. La forma di ogni sasso sembra scalfita sul groviglio nodoso delle emozioni. La scalata verso l’alto é infatti uno scandaglio interiore. Una radiografia dell’anima, un’analisi genetica della tua composizione metafisica, un luogo in cui la materia é il mezzo per comprendere che la legge fisica è figlia di un qualcosa che sfugge a una definizione rigida e univoca.
Ogni stazione successiva é nell’anima un passo in più verso la profondità, una continua e dettagliata introspezione fino alla vetta. Passo dopo passo, respiro dopo respiro, momento dopo momento.
Sulla cima del monte Krizevac si respira la quiete che non può esistere se non nel ritrovare la propria origine, riscoprendo l’appartenenza, toccando la scintilla che brilla dentro di noi. È la luce che squarcia il vetro dell’oscurità, frantumandolo in mille pezzi, in una moltitudine di cocci che si annullano, si sciolgono evaporando.
Si riceve l’abbraccio del cielo, l’affetto di chi ti ama per come sei. Io sono amato di un amore che non potrò mai dare, è una voragine verso l’infinito, che altro non é se non amore, cioè Dio.
Il sole sorge alla mia destra, glorioso tra le nuvole della notte viene in alto trionfante. Sono seduto su grandi sassi grigi, freddi, portano ancora la frescura della notte appena trascorsa. Mi accolgono con ristoro dopo qualche ora di cammino, di preghiera e di meditazione. La luce dell’aurora, nel frattempo,colora il mondo, donando vigore alla terra e la vista agli uomini, avvolgendo con il sentore estivo dei fiori e pizzicando con le foglie di ginepro. Si spengono le torce, il sentiero si fa chiaro. L’oscurità è passata.
Di fronte, invece, mi trovo al cospetto dell’ineluttabile: la grande croce bianca che dal 1933 veglia sul villaggio di Medjugorje.
Il monte della croce, il Krizevac, la scalata delle indulgenze, il restauro dell’anima, la casa di Dio. Sul groppone il carico delle intenzioni che, una volta al cospetto della Sua croce, scarichi lì, così come un rimorchio che si svuota, una cisterna che riversa il suo contenuto. Sono andato sul Krizevac e ho sentito l’amore, lo stesso amore che mi investe con irruenza e mi fa piangere di gioia.
Adesso si torna a casa ed inizia il vero pellegrinaggio, il cammino irto della quotidianità, l’amore che deve combattere accettando anche la sofferenza, la prova, la tentazione. Adesso, però, ho un’armatura più robusta, un carico più pesante da portare, da vivere, da presentare.
Un grazie a Filippo Moschitta per questo bellissimo testo.
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