La comunione ai divorziati, si o no?
Nell’articolo Sinodo, la carica degli innovatori, apparso il 10 ottobre sulla Nuova Bussola Quotidiana, si afferma che «Il cardinale Kasper, come ha reso noto dall’inizio dell’anno, ritiene che la coscienza individuale sia fondamentale per stabilire la nullità di un matrimonio e permetterne un secondo».
Questa affermazione viene dibattuta in modo ampio ed approfondito nell’articolo di Tommaso Scandroglio dal titolo Comunione ai risposati, la coscienza non è una scappatoia; ove si sintetizza così il pensiero del porporato.
«Se Tizio in buona coscienza ritiene che il proprio precedente matrimonio sia nullo allora, tenuto conto del principio del primato della coscienza, è legittimato a comunicarsi. Sarebbe sufficiente per sciogliere il matrimonio la verifica di nullità da parte di un vicario episcopale. O addirittura di un penitenziere. Non servirebbe invece il processo canonico, iter necessario invece secondo l’attuale disciplina della Chiesa. (è una tesi che insieme al card. Lehman già espose nel documento “Per l’accompagnamento pastorale di persone con matrimoni falliti, divorziati e divorziati risposati” del 10 luglio 1993)».
Il rilievo pubblico e sacramentale del vincolo matrimoniale è qualcosa che sfugge in molti casi; e ciò almeno per due motivi. Innanzitutto per il fatto che la preparazione catechetica è in genere molto scarsa; (senza voler con questo negare l’esistenza di lodevoli eccezioni). A maggior ragione quella riguardante un sacramento che di per sé ha una complessità notevole e viene praticato in genere vari anni dopo la fine del percorso di iniziazione cristiana. uando, cioè, molti hanno abbandonato completamente la pratica religiosa.
Il secondo motivo trae origine dalla diffusa mentalità che tende a dissolvere il valore giuridico del sacramento. Come in più campi si sta affermando la concezione relativistica secondo cui la verità dipenderebbe dalle opinioni di ciascuno, così in ambito giuridico si vorrebbe far passare la legittimità del positivismo giuridico secondo il quale le norme, le regole di comportamento dipenderebbero, trarrebbero la loro validità dai fatti come si presentano e non dalla verità propria di ogni realtà.
Verrebbe, insomma, meno la necessità di una fondazione metafisica ed etica al diritto. In particolare, per il matrimonio, poco importerebbe se due giovani convivono, si sposano in Comune o in Chiesa. L’importante è che si amino finché si sentono bene insieme. Poi, quando cominciano a litigare è bene che ognuno vada per la propria strada. Vengono fraintese o misconosciute la valenza pubblica dell’impegno matrimoniale; le regole del sacramento; la realtà dell’unione; senza le quali vi è solo un gioco di sentimenti che non rispetta la complessità dell’essere umano. E dell’impegno tra due persone, sulla base del quale si decide il destino di due adulti. E degli eventuali figli bisognosi di cure ed educazione.
Non sorprenda, quindi, il fatto che si riscontrano superficialità o ignoranza o prevenzioni e fraintendimenti anche riguardo al procedimento pubblico di dichiarazione di nullità. E questo, sia perché spesso non si ha consapevolezza dei presupposti necessari per un matrimonio valido; sia perché non sia ha contezza del lavoro che i Tribunali ecclesiastici svolgono; sia perché non si comprende bene che la Chiesa ha una sua struttura ontologica. Cioè ha una realtà con delle caratteristiche interne che richiedono una regolamentazione, un ordine; sulla base della verità e dell’amore, secondo quanto stabilito da Cristo stesso.
Ora, ciò non toglie che, a motivo della presenza del peccato, per una coppia possa costituire una meta ardua rispettare norme come l’indissolubilità del matrimonio o che per un divorziato risposato sia complesso regolare la propria vita secondo le linee direttive che la Chiesa indica. Questo non stupisce, ma non dovrebbe neanche disarmare o scoraggiare. Si tratta delle sfide che in ogni tempo si presentano al credente e alla Chiesa, Madre e Maestra. Non perché egli o Essa debba derogare alla norma quasi che sia inadatta ai tempi che cambiano; o perché debba trovare soluzioni pastorali tali da portare ad una prassi sacramentale non più coerente con la dottrina. Bensì affinché la Chiesa sia stimolata a mettere in atto risorse sempre nuove di carità. Che possano servire come sostegno alle situazioni più difficili.
Per fare esempi concreti occorre che la Chiesa si chieda come fare per preparare in modo adeguato gli sposi. Anche se ciò richiedesse qualche anno di formazione seria di carattere psicologico, teologico, catechetico.
Ancora, occorre chiedersi come fare per accompagnare, ora più che mai, gli sposi nel loro cammino. Soprattutto quelli che non hanno appoggio solido nella famiglia di origine. A fronte del vuoto di fede, dalla carenza di maturità umana, di solidarietà occorre che la Chiesa si mostri presente con strutture gratuite, ben organizzate e dotate di preparazione a tutta prova; così da poter affiancare sia la quotidianità difficile delle coppie solide sia quella degli sposi in crisi. Senza invadenza, ma con una presenza massiccia, capillare e qualificata nel territorio.
Inoltre, occorrerebbe che i sacerdoti fossero molto più preparati ad affrontare con competenza le dinamiche relazionali che oggi si presentano così complesse. Non va sottovalutato il fatto che un sacerdote, che venga in contatto con situazioni matrimoniali difficili, dovrebbe poter contare, oltre che su un’intensa vita di preghiera, anche sull’aiuto di specialisti (canonisti, psicologi…) a cui indirizzare li sposi.
Ai bisogni occorre rispondere con tanta Fede in Dio, tanta speranza e tanto impegno ed energia; con la convinzione precisa di poter risolvere le situazioni malate in vista della guarigione.
Quest’ultima poi potrà essere, a seconda dei casi, la risoluzione dei problemi relazionali, la scoperta che il matrimonio in realtà non era valido… In definitiva, l’apertura verso un orizzonte di verità e di luce che porti serenità e pace.
Mai infatti, lo ribadisco, mai si può sperare felicità laddove i problemi vengono nascosti dietro soluzioni facili; acconsentendo al desiderio immediato; direi piuttosto alla voglia o alla pretesa del momento, per mettere quieti gli istinti.
Un divorziato, che ha alle spalle relazioni bloccate, come può pensare di intraprendere un nuovo cammino affettivo, senza avere risolto i problemi che stanno a monte della spaccatura precedente? E in più senza il sostegno della grazia di stato, e di praticare il sacramento della Comunione, laddove, spesso, non c’è neanche l’intenzione di seguire un cammino serio di Fede? Se questa fosse retta, subito la persona comprenderebbe la gravità della propria situazione; subito percepirebbe la grandezza della misericordia di Dio; e sentirebbe l’esigenza di risanare la propria vita, costi quello che costi.
Oltre a quanto detto, la Chiesa si potrebbe mettere come obbiettivo una migliore formazione dei sacerdoti riguardo ai procedimenti di dichiarazione di nullità (quanti sacerdoti sono in grado di discernere se occorre mandare una coppia in crisi in un consultorio o da un avvocato ecclesiastico?), anche per poter dirigere i fedeli durante il lungo e spesso complesso cammino che porta alla sentenza finale; potrebbe, altresì, favorire una migliore organizzazione dei Tribunali ecclesiastici; così da metterli nelle condizioni di accogliere e valutare tutta la congerie di domande che oggi li sta appesantendo; e di continuare così ad operare con la consueta serietà, ma in tempi più brevi; facendo affidamento su maggiori risorse anche umane.
Ecco quanto lavoro ci sarebbe da fare (e qui non ho indicato che pochi sommari punti).
Ci sono moltissime ferite che gridano a Dio di essere guarite. Dove sono i medici che si chinano su queste ferite per dare loro il sollievo di cui hanno bisogno; un cammino di verità e di Fede; il sostegno di una comunità adorante; un accompagnamento sincero e disinteressato; professionisti nel campo del diritto e della psicologia in grado di dare risposte valide, durature, competenti per ricostruire vite lacerate e relazioni distrutte; aiuti economici a chi ne ha bisogno?
Viene da chiedersi, dunque, quale misericordia si mostra verso quelle persone, e sono tante, che affrontano il difficile cammino della verifica della validità del loro matrimonio presso i Tribunali ecclesiastici. Il quale comporta sacrifici, attese; e soprattutto esige il coraggio di mettersi in discussione e di andare a fondo nei problemi della propria vita, confrontandosi con esperti.
Quale sarà la sofferenza di costoro quando udranno affermazioni tali da insinuare che inutile è il loro sforzo, allorché basterebbe il tribunale della propria coscienza o poco più per dichiarare la nullità del ? Proprio loro, infatti, sanno benissimo, perché lo hanno sperimentato di persona, come la coscienza di un credente medio (come pure quella dei sacerdoti spesso) è assolutamente inadeguata, nella gran parte dei casi, a valutare i motivi di nullità; in modo particolare laddove si presentano casi che richiedono l’intervento di specialisti per esaminare la condizione psicologica all’atto del consenso.
di Francesca Pannuti
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