Il trauma dell’aborto si cura con la fede
La donna che sopprime il suo bambino con l’aborto, violenta la sua profonda natura di madre. Inizia così a subire, il trauma dell’aborto. che l’inseguirà per tutta la vita. Ma al quale la misericordia di Dio è pronta a offrire un definitivo rimedio. Parla Giuseppe Garrone, responsabile di “SOS Vita”.
La piaga dell’aborto trascina con sé due tipi dì vittime, provocatoriamente potremmo dire, che i bambini sono le vittime meno colpite perché il loro martirio culmina nell’abbraccio di Dio, mentre alle madri resta una ferita spesso insanabile che fa pensare al famoso verso di Ungaretti: la morte si sconta vivendo.
Il disegno diabolico che vuole sigillare con la violenza le fonti della vita escogita sistemi sempre più raffinati per raggiungere il suo scopo.
L’aborto è stato spacciato anche come mezzo per superare il trauma di una violenza carnale: “Il figlio non rappresenta il ricordo dello stupro, esperienza peraltro che non si dimentica mai, ma l’unica strada del parziale recupero: con il suo sorriso, con il suo sguardo il bambino rende meno tragica la violenza. Eliminare il bambino non risolve mai il problema: anzi è sempre vero il contrario“.
Diverse sono le conseguenze dell’aborto sulla donna: “Dobbiamo considerare due aspetti inscindibili che spesso si confondono, quello psichico e quello spirituale. Le reazioni molto diverse da caso a caso, comunque ci sono.
Uno studio dell’università di Padova chiariva come non ci sia una donna che si dichiari felice di aver abortito: si va dal rimorso fino al disprezzo totale di sé.
Spesso le donne che hanno abortito non riescono a perdonare se stesse. La psicologia non basta a superare questo trauma, che sfocia nella coscienza reale della morte che il peccato causa. La donna sente su di sé il peccato mortale e quindi l’unico modo per riportarla alla vita è quello di guidarla attraverso la Resurrezione. Ci vuole il perdono di Dio che passa attraverso il perdono di se stessa: bisogna aiutare la donna a comprendere, letteralmente prendere dentro di sé l’immensità dell’amore di Dio che annulla la morte e guida alla resurrezione. È un cammino lungo e complesso. Sbagliano quei confessori che, per eccesso di misericordia, assolvono la donna che confessa di avere abortito dicendole: stia tranquilla, vada in pace e non ci pensi più.
Bisogna scendere con la donna nell’abisso che lei crede invalicabile, il baratro nel quale si sente sprofondata per sempre, per risalire con lei verso la Luce“.
Esiste un percorso da suggerire per aiutare una donna a sopravvivere a questo trauma: “Il primo punto è far scoprire che il bambino vive certamente: e che si trova tra le braccia del Padre. La donna deve capire che suo figlio la ricorderà come la sua mamma, colei che gli ha permesso di raggiungere l’Amore di Dio nell’eternità. Il secondo punto è convincere la donna che il bambino ha diritto al suo nome: ricordo ancora con emozione come una donna chiamò suo figlio. L’ho chiamato Emanuele mi disse che vuol dire Dio con noi, perché mi prenda per mano e mi conduca a Dio. Il bambino è un santo protettore, bisogna chiamarlo, invocarlo nei momenti duri perché guidi al perdono del Padre. Poi come il Papa ha suggerito nella Evangelium vitae, invito le donne che hanno superato il trauma dell’aborto a lavorare per la vita: chi riesce a farlo, e anche nel libro ci sono esempi, porta con sé uno spirito speciale, una forza che ha solo chi ha scoperto la vita in modo molto intenso“.
di Paolo Pugni tratto da Il Timone
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