E se un giorno il bambino sentisse il richiamo della sua mamma?
E se quel bambino, benché amato e coccolato, un giorno, come Mosè, sentisse il richiamo della sua mamma, della sua storia, del suo popolo?
Bello questo articolo di Maurizio Patriciello che è stato pubblicato sull’Avvenire nei giorni scorsi. Mi colpisce particolarmente l’intuizione finale, quella parte in cui l’autore si domanda se questo bambino un giorno non si ritroverà come accadde a Mosè, a cercare le proprie radici, la propria storia, sua madre. E se fosse davvero questo atteggiamento a sovvertire la mentalità distorta del nostro tempo? Se fra vent’anni fossero davvero questi bambini, figli di due padri o due madri, a ristabilire l’equilibrio in mezzo alla follia? La natura non si può distorcere a proprio piacimento, forse lo si può fare nel breve periodo, ma dopo, inevitabilmente, tutto ritorna all’armonia che Dio ha stabilito nella creazione per il nostro bene e la nostra felicità, quella vera.
Le buone notizie rallegrano il cuore. Rinfrancano l’animo. Ravvivano la mente. Da qualsiasi parte giungano. Una notizia è veramente buona solo se fa bene a tutti. Se non adesso, almeno nel tempo che verrà. Il trionfo della giustizia, della solidarietà, dell’amore sono notizie buone. Costruire ponti, abbattere i muri, affratellare i popoli sono notizie buone. La nascita di un bambino dovrebbe sempre essere una buona notizia. La vita che scoppia è la vittoria sulla morte, sul limite, sul tempo che ci invecchia.
Per chi ha il dono della fede, è la prova che Dio non è stanco di questa povera e stupenda umanità. Un bambino che entra in questo mondo lo ringiovanisce, lo rinnova, lo ricrea. Chiunque sia. Da qualunque continente giunga. Ogni uomo è mio fratello. Di ogni uomo mi sento responsabile. Di fronte a tanta bellezza resta, incomprensibile, il dramma del male che ci affligge, ci inquieta, ci tormenta. Che si fa domanda destinata a non aver risposta. Un male che non sconfiggeremo mai, ma che possiamo tentare di ridurre, di disinnescare, di evitare.
Filosofi e poeti, teologi e gente comune si sono scervellati fin dall’antichità ma una soluzione non l’hanno mai trovata. Per i cristiani la risposta è nella dottrina del peccato originale. Viceversa, non se ne esce. Se Dio è buono, infatti, il male da dove sbuca? E se l’uomo è creato a Sua immagine, perché si ritrova a essere orgoglioso ed egoista, avaro, violento e prepotente? Il male non lo vinceremo, ma possiamo non diffonderlo, non propagarlo, non promuoverlo. C’è chi spara, ferisce, uccide. È vero. E noi? Possiamo tentare di lenire le ferite del malcapitato, accoglierlo, sfamarlo, abbracciarlo. Il bene occorre individuarlo, desiderarlo e volerlo con tutte le forze.
Quando il male ha la faccia brutta è facile da identificare e combattere. Il dramma arriva quando si presenta con l’aria intelligente, elegante, moderna. Quando anche la legge si arrende e gli consente di presentarsi come se fosse un bene. Penso all’aborto, alla guerra, alla pena capitale. Penso al commercio delle armi, alle mine antiuomo. Tutto legale. Niki Vendola si è presentato ai media con un bambino tra le braccia, sorridente ed emozionato.
La foto di un uomo che coccola un bambino è stupenda. Mi commuove. Il bambino ci intenerisce. Ci fa ridimensionare tutto. Mette in ridicolo le nostre stupide pretese. Ride della nostra superbia. Mi commuove la foto di qualsiasi uomo che coccola un qualsiasi bambino, eppure non sono riuscito a gioire per Vendola che stringe al cuore il ‘suo’ bambino. L’imbarazzo non colpisce solo me ma anche i commensali con cui sto condividendo il pranzo. Imbarazzati? Non proprio. Preoccupati per i tempi che cambiano? Non credo, non siamo nostalgici del passato. Che cosa, dunque, ci vieta di gioire nel guardare un’immagine bella che dovrebbe fare tenerezza? Il bambino. Sì, proprio lui. Lui che, senza volerlo, è già diventato un simbolo. I nostri sguardi si posano su di lui che, ignaro, dal Canada potrebbe arrivare in Italia. Che viene tolto alla mamma e affidato a una coppia di uomini.
Vendola dice che mai avrebbe immaginato, da bambino, di avere un giorno un ‘marito’ canadese e un ‘figlio’ americano. Se le parole hanno ancora un senso, al di là di ogni ironia, si pongono domande serie: quando e come un bambino diventa un figlio? Qual è lo specifico che fa di una persona un padre nei confronti di un minore? Le risposte non possono essere date a colpi di sentenze. Siamo alle sorgenti della vita, occorre essere umili, onesti, trasparenti fino a farci male. Vendola si dice certo che tra vent’anni queste cose saranno superate. Evidentemente non conosce il cuore dell’uomo e la caparbietà della natura nel rivendicare i propri diritti. Potrebbe, infatti, accadere il contrario. Potrebbe accadere che quel bimbo, benché amato e coccolato, un giorno, come Mosè, senta il richiamo della sua mamma, della sua storia, del suo popolo.
Senta il bisogno di ricollegarsi alle sue radici. Potrebbe accadere che gridi al mondo di essersi sentito trattato come una cosa. Un oggetto – venduto o donato è lo stesso – per soddisfare i desideri di qualcuno che a tutti costi voleva diventare ‘padre’. Non lo so. Gli anni a venire ci diranno come sono andate le cose. Noi continuiamo a credere che il bene, per essere veramente tale, deve fare bene a tutti. No, non mi piace, mi rattrista, mi addolora la foto di un bambino che viene tolto alla mamma e affidato a due ‘papà’. Nessuno può dare quello che non ha. E due papà, per quanto amabili e affidabili, non potranno mai sostituire la mamma di quel bimbo. Al quale, naturalmente, auguriamo tutto il bene di questo mondo.
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