Ave Maria!
Un aneddoto su Maria
vissuto da un uomo di grande cultura e fede: Ezio Franceschini
Maggio è il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna.
Volevo scrivere alcuni pensieri in proposito, poi mi sono detto: i fatti valgono più delle parole e così vi racconto un fatto vero che riguarda la Vergine e chi si fida della sua protezione.
Ezio Franceschini, grande scalatore, si trovava al rifugio Payer, a 3000 metri, e voleva salire da solo sulla cima dell’Ortles, a quasi 4000 metri. Partì alle quattro del mattino con sacco e piccozza, e con la paletta per tagliare i gradini nel ghiaccio.
Lo spettacolo era grandioso: pareti di ghiaccio e abissi, esili creste su spaccature enormi. Su quel bianco lucente e splendido, Ezio Franceschini, anima mistica, guardava e godeva, pensava e pregava, e saliva. Tutto quel bianco lo faceva pensare alla Madonna, di cui era devotissimo. E di tanto in tanto si fermava e scriveva sul ghiaccio, nei punti più difficili, AVE MARIA con la punta della piccozza.
Saliva leggero e felice. Gli pareva di avere per compagno l’Arcangelo Gabriele, che per primo pronunciò quel saluto: AVE MARIA.
Arrivò sulla cima, il cielo era splendido, il freddo intenso. Rimase un’ora a spaziare con lo sguardo su quel mondo meraviglioso: centinaia di cime bianche, laghi azzurri, valli di abeti. S’inebriava di neve e di sole. A mezzogiorno era già di ritorno a Solda nell’albergo.
Un mese dopo, a vacanze finite, ricevette a Milano una lettera che veniva da Linz, in Austria.
Gli scriveva uno sconosciuto, e gli raccontava che essendo un appassionato alpinista, il giorno dopo che c’era salito lui, si accingeva a scalare l’Ortles, anch’egli da solo.
Durante la salita notò quelle AVE MARIA scolpite con la piccozza, e non essendo credente sorrideva di quella ingenuità.
Giunto sulla vetta e guardando in giù, verso Solda, vide dei nuvoloni neri che non promettevano nulla di buono.
Preoccupato, raccolse il sacco e si precipitò nella discesa. Poco dopo la bufera lo investì con violenza inaudita. Lo circondò di nero e di vento, non permettendogli di vedere ad un metro di distanza. Accecato dal nevischio, privo di direzione, s’appoggiò alla parete di ghiaccio, disperato. Quand’ecco che sotto la sua mano apparvero quelle lettere: AVE MARIA. Le riconobbe e urlò di gioia: era nella direzione giusta! Quella certezza gli dette un coraggio eccezionale. La bufera non cessava, urlava come se avesse voluto strapparlo dalla roccia. E ancora una volta, proprio vicino alla morte, tastò quelle parole: AVE MARIA.
Pianse. E poco dopo era al rifugio Payer, confortato dal custode e da due guide che preoccupati gli erano andati incontro. Seppe da loro chi il giorno prima aveva tracciato quelle parole. E “quanto a me, professore, da quel giorno ho fatto voto di dire un’Ave Maria ogni sera, per tutta la vita”.
(Contributo di Cecilia Mangili, 9 maggio 2014).
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