Il diritto all’aborto, un significato perverso e iniquo
Parlare di diritto all’aborto è come dare un significato iniquo oltre che perverso. Chi ha diritto sulla vita altrui? Di dedidere se vivere o morire? Nessuno, solo Dio. L’unica scelta che si ha è quella di prevenire una gravidanza, ma una volta che avviene, si perde il diritto perché stiamo parlando di una vita umana. Lessi un articolo che condivido a pieno e che oggi ve lo voglio proporre:
La falsa libertà della modernità: la critica di Giovanni Paolo II.
A cosa si riduce la millantata libertà? quale conquista epocale vantata dagli illuministi vecchi e nuovi? Appare evidente che per Giovanni Paolo II la modernità non ci ha dato la vera libertà, ma la schiavitù al male, sotto apparenza di libertà. Ed anche che sono in questa logica liberticida e tirannica tutti coloro che accettano la legalizzazione del crimine, fosse pure per poi applicare il crimine in senso restrittivo.
È possibile secondo il Pontefice polacco costruire una società, una cultura, una civiltà su base laica, neutra e a religiosa?
Assolutamente no, perché «quando viene minacciato il senso di Dio, anche il senso dell’uomo viene minacciato e inquinato» (n. 22). «Del resto, una volta escluso il riferimento a Dio come fa la società laica moderna, non sorprende che il senso di tutte le cose ne esca profondamente deformato, e la stessa natura, non più “mater”, sia ridotta a “materiale” aperto a tutte le manipolazioni» (n. 22). «In realtà, vivendo “come se Dio non esistesse”, l’uomo smarrisce non solo il mistero di Dio, ma anche quello del mondo e il mistero del suo stesso essere» (n. 22).
Quali le conseguenze di questa visione così moderna nella vita associata?
Il diritto all’aborto è una visione moderna dell’egoismo umano.
Secondo Giovanni Paolo II, «l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano l’individualismo, l’utilitarismo e l’edonismo» (n. 23). Dunque o Dio è a fondamento della civitas, oppu- re esiste solo una visione mostruosamente bassa, anarchica e subumana.
Questa perdita del senso di Dio e dell’uomo ove si manifesta?
Secondo il Papa ciò avviene nell’intimo della coscienza morale, ma poi logicamente anche nella coscienza morale «della società: essa è in qualche modo responsabile non solo perché tollera o favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta la “cultura della morte» (n. 24).
Ma il Papa vede la società moderna come un progresso rispetto alla cristianità di un tempo o no?
Lo si valuti da quanto segue: «La coscienza morale, sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per l’influsso invadente di molti strumenti della comunicazione sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della confusione tra il bene e il male. Tanta parte dell’attuale società si rivela tristemente simile a quell’umanità che Paolo descrive nella Lettera ai Romani. È fatta “di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia” (n. 24). E infine: «Quando la coscienza, questo luminoso occhio dell’anima (cf. Mt 6,22-23), chiama “bene il male e male il bene” (Is 5,20) è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale» (n. 24). Chiaro? Per Giovanni Paolo II, con la modernità siamo tornati al peggiore paganesimo!
L’aborto può essere considerato un male chia- mato bene, ma quale sarà nella mente papale il bene chiamato male?
Senza dubbio, dallo spirito dell’Enciclica, può essere visto nello Stato cristiano che condanna il crimine aborto, oppure nel pro-life che si batte coraggiosamente per l’abolizione assoluta delle infami leggi abortiste, oppure più in generale in tutti coloro che, per amor di Dio, e senza nessun rispetto delle maggioranze democratiche (come il Pontefice dice di doversi fare), difendono interamente la verità, l’etica e la morale cristiana.
Dov’è la speranza?
Secondo l’Enciclica sta nei movimenti e iniziative di sensibilizzazione sociale in favore della vita e non in larghe intese, o a metà strada tra la vita e la morte. C’è in atto un conflitto, una guerra (non guer- reggiata)? «Questo orizzonte di luci e ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e dram matico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamen te “in mezzo” a tale conflitto» (n. 28).
Si può dire che il Papa ha usato il suo carisma dell’infallibilità condannando l’aborto?
Certamente come si evince da formule come la seguente: «Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale. Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore (cf. Rm 2,14-15), è riaffermata dalla Sacra Scrittura, trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e universale» (n. 57).
Almeno non paragoniamo l’aborto, praticato da migliaia di donne ogni anno, ai crimini più odiosi come lo stupro o il terrorismo, altrimenti colpevo lizzeremmo delle persone in buona fede! «Fra tutti i delitti che l’uomo può compiere contro la vita, l’aborto procurato presenta carat- teristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile» (n. 58). Certi vescovi, certi cardinali e certi leader di movimenti che si dicono pro-life hanno detto e ri petuto che l’aborto è cosa grave, ma è meglio per prudenza, carità, o altro, non chiamarlo “omici- dio”. Che ne pensa il Pontefice?
«Proprio nel caso dell’aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di “interruzione della gravidanza, che ten- de a nasconderne la vera natura e ad attenuarne gravità nell’opinione pubblica. Forse questo fe nomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze. Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque ven ga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita» (n. 58).
Su chi ricade la colpevolezza di questo crimi ne abominevole?
La colpa della donna che abortisce scusa gli altri agenti indiretti del suo aborto? No. La colpa coinvolge la madre, il padre, il “contesto familiare” e gli amici: sempre quando favorevoli all’aborto o indifferenti. Responsabili sono pure i medici e il personale sanitario. «Ma la responsabilità coinvolge anche i legislatori specie se cristiani, che hanno promosso e approvato leggi abortive e […] gli amministratori delle strutture sanitarie uti- lizzate per procurare gli aborti. Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti han no favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare – e non l’hanno fatto valide politiche familiari. Non si può infine sottovalutare la rete di complicità che si allarga fino a comprendere istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono siste- maticamente per la legalizzazione dell’aborto nel mondo» (n. 59). Tra queste ultime spiccano l’ONU, I’UE, l’Unicef, il Planning familial, e non ultima la Massoneria internazionale.
Quale pena riceve chi procura l’aborto?
La scomunica (can. 1398) che “colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato” (n. 62).
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